Rasnot

Roh era soddisfatto del risultato della conversazione, sempre che una persona che indovinava le domande e forniva già le risposte senza lasciar parlare l’altro si potesse considerare un buon interlocutore. Se non altro era finalmente riuscito a confermare l’esistenza di una minaccia. Ma per capire come fermarla doveva prima saperne molto di più. Si congratulò mentalmente con se stesso per la parziale riuscita del suo piano e decise di prendersi una pausa mentre pensava alla sua prossima mossa. Guardandosi attorno finalmente riusciva a godersi le caratteristiche vie del quartiere che, sebbene non fosse popolato dai colorati banchi del mercato come il resto della città, riusciva a mettersi in mostra grazie agli sgargianti colori degli edifici e alle loro forme inusuali. Molti visitatori pensavano che la diversità del quartiere fosse dovuta agli abitanti, di molte razze e molte sfere sociali differenti ma, in realtà, i motivi erano molto più pratici. A causa dei numerosi esperimenti che vi avevano luogo, le pareti degli edifici si scurivano rapidamente e l’umidità di alcuni locali faceva scrostare gli intonaci delle abitazioni, oltre che riempire le strade di uno sgradevole odore. Qualche secolo prima era quindi nata l'abitudine di ridipingere ad intervalli regolari tutte le pareti esterne con sostanze appositamente studiate per coprire gli odori e conservarne il più a lungo possibile la lucentezza. Le forme degli edifici avevano un’origine ancora diversa: alla ricerca di metodi per riuscire ad ottenere materiali di qualità senza dover percorrere distanze proibitive per poterli raccogliere, alcuni maestri avevano iniziato a studiare modi per riprodurre le condizioni climatiche necessarie all’interno degli edifici stessi. In alcuni casi era stato sufficiente costruire delle serre, ma quando le piante provenivano da regioni dai climi estremi non era possibile riprodurli naturalmente e allora avevano cominciato a studiare sigilli magici per ottenere i risultati voluti e contenerli all’interno delle abitazioni. Poiché alcuni di questi simboli arcani, che venivano disegnati sul pavimento delle sale, avevano forme geometriche ed ampie estensioni, molti edifici erano stati ampliati per poterli accomodare come possibile, cambiando irrimediabilmente l’aspetto delle vie sulle quali sorgevano. Una seconda ragione era che alcuni studiosi volevano evitare di dover continuamente alimentare le enormi fornaci presenti nei loro edifici, quindi, con la consapevolezza di poter lavorare soltanto più durante i giorni di sole e con la collaborazione dell’intera comunità, era nata una enorme rete di specchi che raccoglieva la luce solare di un’ampia parte del quartiere, incanalandola verso punti che diventarono poi grandi forni accessibili a tutti.
Dopo aver temporeggiato a lungo tra le vie ricolme di botteghe finalmente decise di lasciare il quartiere e da un momento all’altro passò dalle strette e buie strade ad un ampio viale alberato fiancheggiato da banchetti e teli, che vendevano le più svariate mercanzie. Mentre in altre città in zone diverse si potevano trovare prodotti differenti, a Rasnot il mercato non era regolato e chiunque poteva comprare e vendere, persino chi aveva un negozio o una bottega poteva aprire altrove una bancarella per raggiungere più clienti. Non esistendo un vero e proprio regolamento ufficiale erano nate diverse convenzioni che ormai tutti trattavano come legge: i banchi potevano soltanto essere messi ai bordi della strada, anche se la zona centrale era ampia e occupata dagli alberi, nessuno poteva occupare più spazio di quanto gliene servisse per esporre la propria merce ed infine nessuno poteva obbligare un cliente ad acquistare un prodotto dopo averglielo fatto provare, anche se era consentito richiedere un rimborso in caso di danni. Le bancarelle più numerose erano quelle dei mercanti itineranti. Alcuni vendevano prodotti che provenivano da lontano, altri semplicemente importavano derrate agricole dai dintorni, altri commerciavano oggetti più rari, come armi e prodotti artigianali ed erano anche disponibili ad acquistare la merce che i cittadini portavano loro. Per essere la capitale della magia era divertente vedere come i banchetti che vendevano oggetti legati a questa professione fossero quasi inesistenti, perché la merce migliore si trovava sempre nei negozi, anche quando non c’era il mercato. Una tra le tende variopinte attirò l’occhio attento di Roh. Il proprietario era probabilmente un mercante che viaggiava con una carovana, visto che portava mercanzie da molto lontano. L’oggetto che aveva attirato l’attenzione dell’avventuriero era una pietra blu dal colore intenso ed inconfondibile, tanto bello che ci si poteva perdere, che veniva solitamente scolpita per darle le forme più svariate. Quella era una pietra blu di Alsaa, la città più a nord dell’intero regno, esclusi luoghi leggendari e piccoli paesi come Torrefredda, dove veniva sia raccolta che lavorata. Per un momento gli tornarono alla mente lontani ricordi di quando, ancora giovane, si era recato in quelle terre, aveva esplorato le valli circostanti assieme ad alcuni compagni ed era riuscito a trovare le tracce delle antiche civiltà che sorgevano nei tempi antichi tra quelle vette. Mentre ancora si crogiolava in quei ricordi un altro pensiero gli attraversò la mente: conosceva una persona che apprezzava immensamente quelle pietre e che, se esistevano, possedeva certamente le informazioni che cercava, anche se a caro prezzo. Roh si avvicinò alla tenda e dopo aver contrattato per un po’ acquistò la pietra-portafortuna per un prezzo che reputava adeguato. Soddisfatto della sua scelta lasciò il mercato, dirigendosi in una zona sopraelevata della città, che ne costituiva il nucleo originale. Con poche rampe di scale si trovava già all’altezza dei tetti, ma solo dopo alcuni minuti di salita si ritrovò a poter guardare dall’alto l’intero abitato. La scelta di costruire gli edifici proprio intorno a questo colle era dovuta al fatto che al di sotto dell'attuale piazza centrale era stato scoperto un enorme cristallo in grado di accumulare magia. Quindi, invece che attorno al fiume Anran, quello che discende dai monti del Kesh attraversando Torrefredda, si era scelto di edificare in questa zona, dotata di una risorsa ben più importante per un popolo di maghi e incantatori. Da quella posizione la struttura della città era più apprezzabile: la zona centrale, la più estesa, era caratterizzata dai tipici tetti a spiovente, ripidi e scuri, ed era abitata da coloro che facevano della magia la loro professione. A questa si affiancava l’ampio quartiere degli alchimisti con i suoi tetti irregolari e bizzarri e, nella zona adiacente al fiume, sorgevano molti edifici che si differenziavano dagli altri per essere meno alti, ma molto più ampi. Quello era il quartiere dei fabbri arcani, ovvero degli incantatori che erano in grado di legare alle loro creazioni di acciaio incantesimi permanenti. Le dimore della parte alta di Rasnot non differivano molto da quelle attorno alla nuova piazza principale, ma erano abitate dalla parte di popolazione che non praticava arti magiche. Le vie erano più strette e modeste e le uniche decorazioni erano costituite da vasi di fiori e affreschi sulle facciate. Roh per alcuni minuti vagò senza meta, tentando di assaporare il poco di normalità presente nella città, poi decise che non poteva tardare ulteriormente e si diresse verso quella che all’apparenza non era null’altro che una normale libreria. Dall’esterno sembrava un negozio come tanti altri: ampie vetrate permettevano alla luce di entrare e agli occhi dei curiosi di scrutare i volumi in esposizione. Entrando una campanella avvisò la padrona del negozio dell’arrivo di un visitatore. Un volto anziano ma ancora bello, seppur segnato dalle rughe del tempo, si sollevò dalle pagine del libro che aveva innanzi e cominciò a scrutare il nuovo arrivato. La donna accolse Roh con un amichevole sorriso. – Ma guarda chi si rivede, scopritore delle rovine di Glynk! La sottile figura dell’anziana si raddrizzò sulla sua sedia per quanto la sua età le permettesse, poi con un gesto della mano invitò il suo interlocutore a sedersi. Roh accettò volentieri l’invito prendendo posto davanti a lei e ricambiando il saluto le porse il piccolo sacchetto in pelle in cui aveva riposto la pietra da poco acquistata. – Suvvia, Melea, non usare epiteti con me, altrimenti come ti dovrei chiamare? Oracolo di Alsaa? Restando sul tema, ti ho portato un piccolo regalo. La donna rapidamente liberò la pietra dall’involucro e la studiò per un momento. – Sei sempre troppo gentile, una di queste pietre costa una fortuna! – Nulla che non si possa fare se è un dono per te. Sapendo bene che la pietra era un compenso per i suoi servizi Melea con tono scherzoso ribatté: – Sei per caso qua per prendere un tè o sei in cerca di indicazioni, caro? – Entrambi, signora, entrambi – concluse Roh con il tono più serio che gli riusciva, poi non riuscendo a contenersi scoppiò in una risata, seguito dall’anziana. Il rito del tè era ormai diventato qualcosa di consueto quando si recava da Melea, sia che fosse alla ricerca di informazioni che per una semplice visita di cortesia. Non si ricordava nemmeno più quando l’avesse conosciuta, ma all’epoca svolgeva un mestiere simile nella città di Alsaa, dove aveva assunto il nominativo con il quale era meglio nota, l’Oracolo di Alsaa. Al contrario di quello che poteva far pensare il nome, non possedeva il potere di prevedere il futuro, ma la sua spiccata intelligenza colmava ampiamente quella mancanza. Come Roh e pochi altri sapevano Melea aveva lavorato a lungo tra le spie reali ed era sempre stata nota per essere in grado di raccogliere rapidamente molte informazioni e risolvere anche gli intrighi più complessi a partire da pochi indizi. L’appellativo lo aveva ricevuto di conseguenza, quando grazie ad una serie di brillanti deduzioni, era riuscita non solo di sgarbugliare faccende da lungo tempo irrisolte, ma persino a sventare un complotto contro il governo della città. Nonostante la sua avanzata età la donna non aveva perso l’acume e l’insaziabile desiderio di apprendimento, spingendola a non abbandonare il lavoro a cui aveva dedicato la vita.

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